Dizionario Biografico
- Home
- Dizionario Biografico
DIZIONARIO BIOGRAFICO
Figlio di Achille e di Gismunda, di nobile famiglia partenopea, nacque a Napoli (come ricorda il suo primo biografo Baglione, p. 9) nei primi decenni del Cinquecento. La data di nascita dovrebbe oscillare tra il 1512 e il 1513, se si tiene conto che in una lettera del 10 apr. 1568 al duca Alfonso II d’Este l’ambasciatore ferrarese A. de’ Grandi attribuiva al L. un’età di 55 anni (Coffin, 2004, p. 183 n. 1).
Poco si conosce della sua formazione; come ricorda Baglione, dovette lasciare ben presto Napoli, per giungere probabilmente intorno al 1534 a Roma, dove si dedicò, inizialmente, alla pittura. Il primo documento relativo alla sua attività romana è un contratto del 12 maggio 1542 in cui il L. si impegnava a decorare, entro l’agosto successivo, con grottesche la loggia sopra il portale principale del palazzo dell’arcivescovo di Benevento sulla via Lata, oggi via del Corso, che sorgeva al posto dell’attuale palazzo Doria. Sempre secondo Baglione il L. decorò numerosi palazzi tra via del Corso e Campo Marzio, “la facciata incontro alle Convertite” e “un’altra dal canto dell’istesse Convertite[…] Sono di sua mano l’opere delle facciate in Campo Marzo[…] Un’altra à piè della salita di S. Silvestro di monte Cavallo” (p. 9). Il biografo prosegue poi ricordando il palazzo Caetani all’Orso, vicino piazza Fiammetta: tutte decorazioni a monocromo, alla maniera di Polidoro da Caravaggio e di B. Peruzzi.
Poiché i fregi sono tutti perduti è difficile identificare tra i numerosi disegni del L. quelli preparatori per la decorazione delle facciate; tuttavia ce ne sono alcuni che sembrano inconfondibilmente legati a questa sua prima attività: per esempio un disegno (n. 25151) che si conserva presso il Kupferstichkabinett di Berlino, raffigurante la personificazione della Vittoria con i trofei romani, la cui destinazione è suggerita dall’abbozzo, al di sotto della figura, della parte superiore di una finestra. Un disegno dell’Art Institute di Chicago (n. 1922.5475) presenta scene tratte da due frammenti di sarcofagi che si trovano nelle collezioni vaticane, raffigurante una festa bacchica e Nettuno sul carro. La data 1535, forse aggiunta più tardi, e la scritta “a Roma” e “Santo Ja/ni” fanno pensare che in quell’anno, quando il L. li disegnava, i sarcofagi si trovassero a S. Giovanni in Laterano: potrebbe perciò trattarsi della sua prima opera nota (Coffin, 2004, pp. 7 s.).
È probabile che il L. soggiornasse a Modena per qualche tempo nel corso del 1543, come attesterebbe una lettera del 28 giugno di quell’anno in cui Annibal Caro comunicava a F.M. Molza, poeta ed erudito modenese, di avere appena ricevuto le sue lettere tramite il Ligorio.
Il 6 maggio 1546 il L. firmò il contratto per la realizzazione di un gonfalone con al centro la figura della Vergine (andato perduto) per la Confraternita di S. Maria a Rieti. L’opera, secondo quanto previsto dal contratto, doveva essere stata eseguita a Roma.
Intorno a questo periodo va ascritto l’affresco, ormai universalmente attribuito al L., l’unica sua opera di pittura superstite, raffigurante una Danza di Salomè per l’oratorio di S. Giovanni Decollato. Non datato, l’affresco si trova sulla parete sinistra tra la Cattura del Battista di B. Franco, realizzata tra il 1541 e il 1546, e la Decapitazione di F. Salviati del 1553.
La danza di Salomè è piuttosto pesante e goffa; forse il particolare più riuscito della raffigurazione è dato dai tre personaggi ritratti in primo piano, presumibilmente i committenti. La scena si svolge nell’esedra di un cortile, il cui andamento curvilineo, sottolineato dallo schieramento degli spettatori, rimanda alle quinte teatrali. Già a questa data il L. appare più antiquario e architetto che pittore, come asserisce Freedberg (p. 504 n. 51) e come dimostrano la ricca decorazione di gusto antiquariale del cortile dipinto e la preponderanza dell’impianto architettonico, che risulta ancora più evidente nel disegno preparatorio conservato presso il British Museum di Londra, dove le figure, molto ridotte nelle dimensioni, lasciano maggiore spazio alla composizione prospettica.
Intanto, già a partire dal 1540, il L. aveva cominciato ad avvicinarsi alle ricerche archeologiche; tuttavia “i preliminari del suo collezionismo antiquario, gli estratti, gli schizzi di monumenti antichi sono andati perduti. Tutto ciò che si trova nei volumi rilegati risale, quanto a stesura definitiva, ad anni più tardi, specialmente al periodo ferrarese, fra il 1569 e il 1584” (Winner, p. 20).
Il 15 ag. 1546 il L. fu presente al ritrovamento nel foro dell’arco di Augusto che in trenta giorni, durante gli scavi, fu distrutto (Coffin, 2004, p. 11).
A testimonianza del prestigio raggiunto dal L., il 16 dic. 1548 veniva proposta la sua candidatura a membro della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon.
Ma l’incarico che segnò un profondo cambiamento nella sua carriera fu quello di archeologo al servizio del cardinale Ippolito d’Este nel 1549: da allora in poi mutò il suo lavoro, non più solamente tecnico, ma anche fondato su una forte riflessione intellettuale. Tuttavia, in virtù della sua formazione di pittore, venne dapprima impiegato nella decorazione di un fregio (perduto) nella sala grande del palazzo Orsini di Monte Giordano a Roma, appena comprato dal cardinale, che, divenuto governatore di Tivoli, il 9 sett. 1550 vi fece il suo ingresso trionfale accompagnato dal Ligorio.
La modesta sede del governatorato di Tivoli occupava allora un’ala del medievale convento francescano, annesso alla chiesa di S. Francesco, poi denominata S. Maria Maggiore. Dovette essere dalla fine del 1550 – anno in cui stava trasformando grazie all’aiuto del L. la vigna Carafa al Quirinale, appena presa in affitto, in un magnifico giardino, ricco di statue antiche – che il cardinale Ippolito decise di creare a Tivoli un giardino ancora più imponente. All’inizio gli sforzi del L. in quest’ultima impresa furono sostanzialmente volti all’acquisto di terreni nella valle sotto il monastero e alle esplorazioni dei siti archeologici circostanti. Il nome del L. compare nei libri contabili del cardinale fino al 1555, quando quest’ultimo, caduto in disgrazia con l’elezione del nuovo papa, Paolo IV, dovette abbandonare Roma. Soltanto con la salita al soglio pontificio di Pio IV il cardinale Ippolito venne riabilitato e a partire dal 1560 ebbe inizio la costruzione della villa.
Il 23 nov. 1549, durante l’interregno dopo la morte di Paolo III, per intercessione del cardinale R. Pio di Carpi (Volpi, 1995-96, p. 10), il L. fu nominato sovrintendente per la fontana di S. Pietro e per la fonte di Belvedere e intorno al 1550 potrebbe aver ricevuto il suo primo incarico come architetto, il progetto per il palazzo Torres-Lancellotti a piazza Navona, la cui pianta irregolare si articola intorno a due cortili.
A partire dal sesto decennio gli interessi antiquariali del L. si affermarono in maniera decisamente preponderante. Le tre piante di Roma antica realizzate fra il 1552 e il 1561, in particolare quelle del 1553 e del 1561, sono delle vere ricostruzioni archeologiche. Si basano, infatti, sulla tradizione scritta sul lavoro degli umanisti, ma anche sulla visione diretta delle rovine. Con pignola puntigliosità il L. mise a confronto fra loro le immagini di templi riportate sulle monete romane, combinando autonomamente i dati da esse ricavati con la localizzazione dei monumenti stessi (Winner, p. 19). Tra il 1550 e il 1560 lavorò all’opera Delle antichità di Roma, composta da 10 volumi manoscritti, conservati presso la Biblioteca nazionale di Napoli; solo il volume relativo agli anfiteatri venne pubblicato a Venezia, presso M. Tramezzino, nel 1553 (Libro… delle antichità di Roma nel quale si tratta de’ circi, teatri & anfiteatri). Una successiva stesura dell’opera, redatta in 30 volumi tra il 1566 e il 1583, si trova presso l’Archivio di Stato di Torino.
Si tratta di un’enciclopedia archeologica in cui vengono riportati monumenti antichi, epigrafi, vite di uomini illustri, monete. Winner (p. 19) la definisce “il primo esempio di enciclopedia illustrata dell’antico, opera di un singolo individuo del Cinquecento, paragonata spesso alle enciclopedie collettive del XIX e del XX secolo […]. L’eruditismo di Ligorio suscitava già l’ammirazione degli antiquari di formazione umanistica suoi contemporanei che consideravano il suo caso eccezionale proprio perché Ligorio non era un vero latinista erudito. La sua vigile facoltà di sintesi e la sua fantasia artistica gli permisero spesso di completare monumenti antichi frammentari, di inventarli e di provvederli poi dell’iscrizione adatta”. Scriveva di lui A. Agustin: “Pirro Ligorio Napoletano amico mio, grande antiquario, e pittore, il quale senza sapere la lingua Latina, ha scritto più di quaranta libri di medaglie, et di edificii, et d’altre cose” (Dialoghi intorno alle medaglie inscrittioni et altre antichità, Roma 1592, p. 117).
Probabilmente al servizio di papa Paolo IV già dal novembre 1557, nel gennaio dell’anno successivo compare nei libri contabili come architetto pontificio e in particolare l’11 genn. 1558 ricevette una provvisione mensile di 25 scudi d’oro. Mantenne l’incarico per tutto il pontificato di Pio IV, periodo al quale risalgono le sue realizzazioni architettoniche più importanti (Coffin, 2004). Attorno a questo periodo risalgono i disegni del L. per le Fabulae Centum (Roma 1563, presso Vincenzo Luchino) del suo amico Gabriele Faerno, per la maggior parte derivate da Esopo.
Da Paolo IV il L. era stato incaricato tra l’altro di realizzare alcuni finestroni del palazzo Vaticano che dovevano aumentare la luminosità della sala di Costantino, ma i sicuri danni che l’iniziativa avrebbe arrecato agli affreschi della sala spinsero il papa ad abbandonare il progetto. Paolo IV incaricò allora il L., architetto di palazzo, di realizzare un casino in Vaticano, che doveva essere visibile dalle finestre del suo appartamento, immerso nel verde, destinato ai suoi momenti di riposo. I lavori, citati per la prima volta il 30 apr. 1558, furono bruscamente interrotti alla fine dello stesso anno, per riprendere nel maggio del 1560, dopo l’ascesa al soglio pontificio di Pio IV.
Denominato “Casino del boschetto”, per via della sua posizione ritirata e scenografica all’interno dei giardini, prese poi il nome di villa Pia o casino di Pio IV. Fonte per l’architettura del casino, è stato sottolineato da Friedlaender, è Raffaello e in particolare il perduto palazzo Dell’Aquila, la cui facciata riccamente decorata è senz’altro un importante precedente della costruzione del Ligorio. Cronologicamente più vicini sono la facciata e il cortile di palazzo Spada sempre a Roma, la cui decorazione in stucco è opera di G. Mazzoni, uno degli artisti impegnati nella valutazione del casino che fu completato nell’autunno 1562. Mentre la loggia rimanda a quella di palazzo Massimo alle Colonne, opera di B. Peruzzi. La fabbrica è composta da due distinti edifici che occupano le estremità dell’asse maggiore di un piazzale ellittico cui si accede attraverso due portali ad arco. L’architettura del casino è riccamente decorata da rilievi in stucco e sculture.
Il L. fu inoltre molto impegnato, a partire dal 1560, in diversi lavori intrapresi all’interno del palazzo Vaticano, in particolare nella loggia della Cosmografia e nella sala dei Pontefici nell’appartamento Borgia. E soprattutto fu attivo nella completa risistemazione del monumentale cortile del Belvedere. Si occupò in particolare dell’edificazione dell’ala occidentale del cortile, proseguendo gli interventi di D. Bramante prima e B. Peruzzi poi, e realizzando un emiciclo teatrale a sud e il cosiddetto nicchione, che si ispira alla nicchia centrale dello stadio Palatino, a nord.
Sempre nel 1560 divenne cittadino romano.
Con l’elezione di Pio IV Ippolito d’Este fu riabilitato e riprese il governatorato di Tivoli. A partire dal 1560, pertanto ebbero inizio i lavori della villa che dapprima comportarono l’acquisto di altri terreni, la costruzione di un acquedotto per portare l’acqua dal Monte Sant’Angelo e la preparazione del terreno per la costruzione del fantasmagorico giardino, del quale il L. compilò una descrizione e ideò il programma iconografico, forse con l’aiuto dell’umanista francese cardinale M.-A. Muret (Coffin, 2004, p. 84).
L’ingresso principale venne posto alla base della collina in aggiunta al grande parco pubblico che si sviluppava salendo verso un giardino segreto in alto. Il programma iconografico associa, secondo Coffin, il giardino di Tivoli a quello delle Esperidi e alla scelta morale dell’eroe Ercole. Dalla fontana centrale del drago, ucciso da Ercole che sceglie la virtù, si dipanano poi le altre statue e fontane della villa. Ma soprattutto attraverso il mito di Ercole avviene la celebrazione della famiglia Este, ritenuta sua discendente, e di Tivoli, l’antica città dedicata all’eroe. Dall’aprile 1567 al 17 ag. 1568 sono registrati i lavori eseguiti nella villa, in particolare statue realizzate su disegno del Ligorio. La vocazione teatrale (Fagiolo – Madonna, 2003) si concentra in modo particolare sulle tre fontane di sicura ideazione ligoriana: l’Ovato, l’Organo e la “Rometta”, che doveva rappresentare in forma allegorica la Roma antica, con percorsi d’acqua, e in miniatura l’isola Tiberina e alcuni edifici cittadini. Il L. dovette avere anche un ruolo nella scelta degli artisti che dal 1565 al 1572 lavorarono alla decorazione delle stanze della villa. Nel periodo in cui il L. fu impegnato nel progetto dei giardini di Tivoli, utilizzò parte del suo tempo per esplorare la regione e per organizzare scavi che dovevano servire ad arricchire la collezione di antichità del cardinale. In particolare fu impegnato nell’ottobre 1567 negli scavi di villa Adriana, interessato non solo al reperimento di sculture antiche, ma anche allo studio della villa, di cui stava preparando una dettagliata descrizione, che si trova nel libro XXII del manoscritto di Torino (Coffin, 2004, p. 105).
Tra il 1561 e il 1564 il L. lavorò probabilmente alla palazzina di Pio IV sulla via Flaminia trasformando il prospetto della fontana dell’Acqua Vergine costruita per Giulio III. Intorno al 1564 il L. doveva lavorare anche alla facciata del transetto nord in S. Giovanni in Laterano, e, per volere del papa, probabilmente a seguito della morte di G. Guidetti, nello stesso anno, fu incaricato di prendere parte alla costruzione del nuovo palazzo della Sapienza. Il L. progettò il nuovo cortile del palazzo, ma un decreto del 18 sett. 1565 ne stabilì l’interruzione per mancanza di fondi.
Intanto nel luglio 1564, a cinque mesi dalla morte di Michelangelo, il L. gli succedette nella prestigiosa carica di architetto della Fabbrica di S. Pietro, il Vignola (J. Barozzi) fu eletto secondo architetto.
Non erano mai stati buoni i rapporti tra Michelangelo e il L. che si era permesso di insultarlo in pubblico, cosa di cui Michelangelo ebbe a lamentarsi con Vasari (G. Vasari, Le lettere di Michelangelo Buonarroti, Firenze 1875, p. 534 n. CDLXXIII) il quale infatti, pur citandolo qua e là nelle sue Vite, lo escluse da una trattazione specifica. D’altro canto V. Borghini in una lettera al suo amico Vasari del 19 ag. 1564 criticava il L. accusandolo di dedicarsi molto alle discussioni e poco alla pratica, nella quale non era abile (Coffin, 2004, p. 68).
Non è chiaro quale fu l’apporto del L. alla Fabbrica di S. Pietro. Vasari (Le vite… [1568], a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, p. 266) sostiene che venne allontanato dall’incarico poco prima del 1° marzo 1567, dopo aver commesso numerosi errori (Coffin, 2004, p. 69). Il L. dovette completare buona parte del braccio nord del transetto, continuare l’impostazione della cupola e probabilmente lavorare alla cappella di nordest, nota come cappella gregoriana.
Alla fine di luglio del 1565 il L. fu imprigionato a Tor di Nona per 22 giorni con l’accusa di aver frodato la Camera apostolica: calunnie di Guglielmo Della Porta (Coffin, 2004, p. 71), come sottolineava lo stesso L. in una lettera al cardinale Farnese del 4 sett. 1565.
In qualità di architetto del palazzo Vaticano, non appena uscito di prigione, il L. dovette misurarsi con un difficile problema strutturale: la cappella Sistina stava correndo il serio rischio di crollare, come rivelavano le crepe sulla parete verso il cortile del Belvedere; pertanto il papa si era trasferito nell’appartamento di Paolo IV, ritenendolo più sicuro rispetto alla torre Borgia, dove era solito risiedere, perché troppo vicina alla cappella Sistina. I pagamenti per riparare la cappella iniziarono nell’ottobre 1565 e proseguirono fino all’agosto 1568, quando il L. non era più alle dipendenze del pontefice.
Alla morte di Pio IV, nel dicembre 1565, il L. rimase al servizio della corte papale ancora per poco tempo. Con l’aiuto di S. Peruzzi realizzò i quattro archi in legno decorati da sei Virtù per la cerimonia della proclamazione di Pio V. Il resto dei pagamenti sono relativi a incarichi ricevuti in precedenza, a eccezione della commissione di progettare la tomba di Paolo IV in S. Maria sopra Minerva. Si trattò naturalmente di una commissione importante.
La realizzazione della tomba nella cappella Carafa comportò la distruzione dell’affresco di Filippino Lippi con il Trionfo delle Virtù sui Vizi. Il contratto fu firmato il 9 apr. 1566, con la specifica che la statua del papa doveva essere scolpita da G. Cassignola e le due figure della Fede e della Carità dovevano essere di mano di T. Della Porta, su disegno del Ligorio. Il 2 ottobre il corpo del pontefice veniva lì traslato e il 20 marzo 1567 Cassignola veniva pagato per la statua del papa. Nel pagamento si parlava anche di due statue della Fede e della Religione (e non più della Carità). Dal contratto si evince che tutta la tomba, a eccezione della statua del papa, fu realizzata su disegno del L. (Coffin, 2004, p. 75). Per l’effetto policromo determinato dall’uso di marmi diversi, verde antico, pietrasanta e broccatello, la tomba, anticipatrice del gusto barocco, raggiunge una grandiosità che la fece apprezzare anche da Vasari il quale, senza fare il nome del L., la definì “maravigliosa” (Vite, VII, p. 551).
Tra il 1566 e il 1569 venne costruito il nuovo palazzo dell’Inquisizione (poi del S. Uffizio) su disegno del L. e di S. Peruzzi. Già a capo dell’Inquisizione ai tempi del pontificato di Paolo IV, Pio V aveva molto a cuore il progetto per cui il L. venne incaricato nel luglio 1566. Vari documenti attestano che il papa avrebbe voluto che il palazzo fosse pronto per Natale di quell’anno, ma il palazzo fu completato soltanto nel 1569.
La fortuna del L. stava ormai tramontando. Il papa, che non voleva vivere fra “idoli pagani”, non apprezzò il casino vaticano che fece spogliare di parte della decorazione scultorea antica, e così fece rimuovere le sculture antiche raccolte dal L. nel cortile di Belvedere.
Il 17 genn. 1567 Fulvio Orsini informava il vescovo Antonio Agustin che le trattative, già in piedi dall’ottobre 1566, erano andate a buon fine e il L. aveva venduto la propria collezione di medaglie antiche e la prima stesura del manoscritto Le antichità di Roma al cardinale Alessandro Farnese. A partire dal giugno 1567 risulta architetto dei palazzi vaticani Nanni di Baccio Bigio (G. Lippi).
La fine degli importanti incarichi romani spinse perciò il L. ad accettare l’invito di Alfonso II d’Este che, tutto occupato nel tentativo di ridare a Ferrara un prestigio culturale pari a quello avuto nel XV secolo, si circondò dapprima di letterati e storici di primo piano come T. Tasso, B. Guarini, G.B. Pigna e G. Sardi, e poi ebbe bisogno di un antiquario, per sostituire E. Vico morto nel 1567, il quale aveva creato la collezione estense di medaglie e monete. Così accolse di buon grado la raccomandazione che il 10 apr. 1568 l’inviato ferrarese a Roma, A. de’ Grandi, gli faceva a proposito del L., dicendolo esperto “non nella professione sola delle medaglie, ma de’ disegni, nelle fortificazioni” (Winner, pp. 21 s.). Il 1º dic. 1568 il L. entrò al servizio di Alfonso II d’Este e da allora ricevette 25 scudi d’oro al mese. Tuttavia è possibile che non si trasferisse fino al 1569. Arrivato a Ferrara come archeologo e antiquario, si dedicò dapprima a organizzare gli intrattenimenti per la visita in città dell’arciduca Carlo d’Austria fratello di Barbara duchessa di Ferrara. Il L. dovette partecipare all’organizzazione della naumachia approntata per l’occasione il 25 maggio, disegnando i costumi, le armature, una macchina da combattimento, in forma di carro allegorico (disegno presso l’Archivio di Stato di Modena: Coffin, 2004, fig. 99, p. 108). Durante il primo anno fu poi occupato come lettore presso l’Università di Ferrara, istituzione che il duca stava cercando di rivitalizzare. Il successivo impegno del L. in città fu però legato alla ricostruzione di una parte del Castello estense, gravemente danneggiato dal terremoto del 16 nov. 1570. Dal novembre 1570 fino al 19 genn. 1571 il L. tenne un diario, che si conserva presso l’Archivio di Stato di Torino (cfr. ibid., p. 111), in cui, trattando le conseguenze del terremoto, elaborò un metodo per costruire abitazioni antisismiche, prevedendo, agli angoli delle stanze, pilastri di rinforzo che diventano elementi architettonici. Si trattava del primo progetto di questo tipo nell’architettura occidentale, nel quale il L. spiegava tra l’altro l’importanza dell’uso dei muri pieni, metodo costruttivo già utilizzato nella tradizione ferrarese.
Tra gli interventi al Castello estense si ricordano, in particolare, il progetto della biblioteca e di un antiquarium o museo per contenere le collezioni ducali, che comprendevano manoscritti e le monete e medaglie raccolte da E. Vico.
Nel 1571 varie lettere di A. de’ Grandi attestano la richiesta da parte del L. di 18 busti antichi di filosofi o letterati che servivano per decorare la biblioteca; 14 sarebbero arrivati entro la fine di agosto del 1571 (Coffin, 2004, p. 112). Contemporaneamente il L. organizzava il museo di antichità. Sia la biblioteca, sia il museo dovevano essere già terminati nel novembre 1574, come attesta il resoconto del segretario del principe di Cleves, che a quella data visitò Ferrara, descrivendo questi ambienti ricchi di statue in marmo, figurine in marmo e in bronzo, monete d’oro, d’argento e di bronzo (Coffin, 2004, pp. 114 s.).
Il L., seppure ben inserito nella corte ferrarese, tra Tasso, lo storico Sardi, il botanico A. Panza, tuttavia non doveva essere completamente soddisfatto del suo ruolo alla corte di Alfonso II se, alla morte del Vignola, nel 1573, tentò inutilmente di tornare a Roma, per riprendere i lavori che l’altro aveva lasciato incompiuti: il palazzo Farnese a Caprarola e la Fabbrica di S. Pietro. Rimasto dunque a Ferrara il L. fu incaricato da A. Mosti di realizzare il progetto generale della tomba di L. Ariosto per la chiesa di S. Benedetto, come era già avvenuto nella cappella Carafa, mentre il busto del poeta fu realizzato da P. Clemente. La tomba non esiste più, sostituita nel 1612 da quella più sontuosa di G.B. Aleotti (oggi nella Biblioteca comunale Ariostea).
Nel 1574 il L. fu incaricato di preparare archi trionfali effimeri per l’entrata di Enrico III di Francia a Ferrara e il 27 febbr. 1579 i 15 archi trionfali per l’arrivo di Margherita Gonzaga che andava in sposa al duca di Ferrara. Il periodo ferrarese fu molto fervido: il L. tra l’altro realizzò una genealogia degli Este, in circa 44 disegni, sparsi tra vari musei e collezioni private, che raffigurano a due a due i membri della famiglia, opera che doveva servire per la decorazione di uno dei cortili del castello compiuta dai fratelli Bartolomeo e Girolamo Faccini nel 1577 (Coffin, 2004, p. 127). Sempre per il castello il L. realizzò i disegni preliminari per le volte della sala dell’Aurora, della sala dei Giochi (entrambi nell’Archivio di Stato di Modena) e della saletta dei Giochi.
Per i meriti acquisiti grazie ai lavori svolti per la corte estense nel 1580 gli fu conferita la cittadinanza onoraria ferrarese. Morì a Ferrara il 26 febbr. 1583 e il 30 ottobre fu sepolto nella locale chiesa dell’ospedale di S. Anna (Coffin, 1984, p. 135). Alla sua morte lasciò la moglie Barbara, probabilmente sua seconda consorte, varie figlie, tra cui Ersilia, benedettina presso l’abbazia di S. Antonio a Ferrara e Lucrezia, che fu per molti anni al servizio di donna Costanza de Mattei a Roma, e i figli maschi Achille, Paolo, Ercole e Cesare Gabriele, nato a Ferrara nel 1579.
In un passo autobiografico scoperto da Coffin il L. dice di aver usato il disegno “non per farme nell’arte della pittura profettevole, ma per possere esprimere le cose antiche, o d’edificij in prospettiva et in profilo” (Winner, p. 22). Attualmente sono stati individuati 253 disegni figurativi e ornamentali ascritti al L. sostanzialmente frutto di tre diversi periodi: il primo precedente il suo arrivo a Roma fino all’attività per la corte papale, tra cui la Danza di Salomè; il secondo successivo al 1557 fino al suo trasferimento a Ferrara nel 1569, tra cui alcuni dei disegni preparatori per la decorazione del casino di Pio IV; e poi il periodo ferrarese, a cui risalgono il manoscritto con la Storia di Ippolito, della Pierpont Morgan Library di New York, dedicato a Ippolito d’Este, e alcuni disegni per decorazioni di soffitti, nell’Archivio di Stato di Modena (Coffin, 2004, p. 149, con un elenco completo).
FontieBibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori… (1649), Velletri 1924, pp. 9-11; W. Friedlaender, Das Kasino Pius des Vierten, Leipzig 1912; G. Ceci, in U. Thieme – F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, pp. 219 s.; P. Tomei, Gli architetti del palazzo della Sapienza, in Palladio, V (1941), pp. 270-282; J.S. Ackerman, The cortile del Belvedere, Città del Vaticano 1954, ad ind.; E. Mandowsky – C. Mitchell, P. L.’s Roman antiquities, London 1963; S. Freedberg, Painting in Italy: 1500-1600, London 1971, ad indicem; M. Fagiolo – M.L. Madonna, La casina di Pio IV in Vaticano. P. L. e l’architettura come geroglifico, in Storia dell’arte, 1972, nn. 15-16, pp. 237-281; R. De Maio, Michelangelo e la Controriforma, Bari 1981, ad indicem; J.S. Weisz, Pittura e misericordia. The Oratory of S. Giovanni Decollato in Rome, diss., University Microfilms Intern., Ann Arbor, MI, 1984, pp. 47-50; P. L. artist and antiquarian, a cura di R.W. Gaston, Milano 1988; P. L. e le erme tiburtine, a cura di B. Palma Venetucci, Roma 1992; Il palazzo apostolico Vaticano, a cura di C. Pietrangeli, Firenze 1992, ad indicem; Il libro dei disegni di P. L. all’Archivio di Stato di Torino, a cura di C. Volpi, Roma 1994 (in partic.: M. Winner, P. L. disegnatore, pp. 19-29); C. Volpi, P. L. e i giardini a Roma nella seconda metà del Cinquecento, Università degli studi di Roma La Sapienza, facoltà di lettere, a.a. 1995-96; D.R. Coffin, in The Dictionary of art, XIX, London-New York 1996, s.v.; F. Rausa, P. L.: tombe e mausolei dei Romani, Roma 1997; P. L. e le erme di Roma, a cura di B. Palma Venetucci, Roma 1998; M. Losito, P. L. e il casino di Paolo IV in Vaticano…, Roma 2000; A. Ranaldi, P. L. e l’interpretazione delle ville antiche, Roma 2001; I. Barisi – M. Fagiolo – M.L. Madonna, Villa d’Este, Roma 2003; D.R. Coffin, P. L.: the Renaissance artist, architect, and antiquarian (con ulteriore bibl. ed elenco dei disegni), University Park, PA, 2004; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, III, pp. 390 s.
DIZIONARIO BIOGRAFICO
Figlio di Achille e di Gismunda, di nobile famiglia partenopea, nacque a Napoli (come ricorda il suo primo biografo Baglione, p. 9) nei primi decenni del Cinquecento. La data di nascita dovrebbe oscillare tra il 1512 e il 1513, se si tiene conto che in una lettera del 10 apr. 1568 al duca Alfonso II d’Este l’ambasciatore ferrarese A. de’ Grandi attribuiva al L. un’età di 55 anni (Coffin, 2004, p. 183 n. 1).
Poco si conosce della sua formazione; come ricorda Baglione, dovette lasciare ben presto Napoli, per giungere probabilmente intorno al 1534 a Roma, dove si dedicò, inizialmente, alla pittura. Il primo documento relativo alla sua attività romana è un contratto del 12 maggio 1542 in cui il L. si impegnava a decorare, entro l’agosto successivo, con grottesche la loggia sopra il portale principale del palazzo dell’arcivescovo di Benevento sulla via Lata, oggi via del Corso, che sorgeva al posto dell’attuale palazzo Doria. Sempre secondo Baglione il L. decorò numerosi palazzi tra via del Corso e Campo Marzio, “la facciata incontro alle Convertite” e “un’altra dal canto dell’istesse Convertite[…] Sono di sua mano l’opere delle facciate in Campo Marzo[…] Un’altra à piè della salita di S. Silvestro di monte Cavallo” (p. 9). Il biografo prosegue poi ricordando il palazzo Caetani all’Orso, vicino piazza Fiammetta: tutte decorazioni a monocromo, alla maniera di Polidoro da Caravaggio e di B. Peruzzi.
Poiché i fregi sono tutti perduti è difficile identificare tra i numerosi disegni del L. quelli preparatori per la decorazione delle facciate; tuttavia ce ne sono alcuni che sembrano inconfondibilmente legati a questa sua prima attività: per esempio un disegno (n. 25151) che si conserva presso il Kupferstichkabinett di Berlino, raffigurante la personificazione della Vittoria con i trofei romani, la cui destinazione è suggerita dall’abbozzo, al di sotto della figura, della parte superiore di una finestra. Un disegno dell’Art Institute di Chicago (n. 1922.5475) presenta scene tratte da due frammenti di sarcofagi che si trovano nelle collezioni vaticane, raffigurante una festa bacchica e Nettuno sul carro. La data 1535, forse aggiunta più tardi, e la scritta “a Roma” e “Santo Ja/ni” fanno pensare che in quell’anno, quando il L. li disegnava, i sarcofagi si trovassero a S. Giovanni in Laterano: potrebbe perciò trattarsi della sua prima opera nota (Coffin, 2004, pp. 7 s.).
È probabile che il L. soggiornasse a Modena per qualche tempo nel corso del 1543, come attesterebbe una lettera del 28 giugno di quell’anno in cui Annibal Caro comunicava a F.M. Molza, poeta ed erudito modenese, di avere appena ricevuto le sue lettere tramite il Ligorio.
Il 6 maggio 1546 il L. firmò il contratto per la realizzazione di un gonfalone con al centro la figura della Vergine (andato perduto) per la Confraternita di S. Maria a Rieti. L’opera, secondo quanto previsto dal contratto, doveva essere stata eseguita a Roma.
Intorno a questo periodo va ascritto l’affresco, ormai universalmente attribuito al L., l’unica sua opera di pittura superstite, raffigurante una Danza di Salomè per l’oratorio di S. Giovanni Decollato. Non datato, l’affresco si trova sulla parete sinistra tra la Cattura del Battista di B. Franco, realizzata tra il 1541 e il 1546, e la Decapitazione di F. Salviati del 1553.
La danza di Salomè è piuttosto pesante e goffa; forse il particolare più riuscito della raffigurazione è dato dai tre personaggi ritratti in primo piano, presumibilmente i committenti. La scena si svolge nell’esedra di un cortile, il cui andamento curvilineo, sottolineato dallo schieramento degli spettatori, rimanda alle quinte teatrali. Già a questa data il L. appare più antiquario e architetto che pittore, come asserisce Freedberg (p. 504 n. 51) e come dimostrano la ricca decorazione di gusto antiquariale del cortile dipinto e la preponderanza dell’impianto architettonico, che risulta ancora più evidente nel disegno preparatorio conservato presso il British Museum di Londra, dove le figure, molto ridotte nelle dimensioni, lasciano maggiore spazio alla composizione prospettica.
Intanto, già a partire dal 1540, il L. aveva cominciato ad avvicinarsi alle ricerche archeologiche; tuttavia “i preliminari del suo collezionismo antiquario, gli estratti, gli schizzi di monumenti antichi sono andati perduti. Tutto ciò che si trova nei volumi rilegati risale, quanto a stesura definitiva, ad anni più tardi, specialmente al periodo ferrarese, fra il 1569 e il 1584” (Winner, p. 20).
Il 15 ag. 1546 il L. fu presente al ritrovamento nel foro dell’arco di Augusto che in trenta giorni, durante gli scavi, fu distrutto (Coffin, 2004, p. 11).
A testimonianza del prestigio raggiunto dal L., il 16 dic. 1548 veniva proposta la sua candidatura a membro della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon.
Ma l’incarico che segnò un profondo cambiamento nella sua carriera fu quello di archeologo al servizio del cardinale Ippolito d’Este nel 1549: da allora in poi mutò il suo lavoro, non più solamente tecnico, ma anche fondato su una forte riflessione intellettuale. Tuttavia, in virtù della sua formazione di pittore, venne dapprima impiegato nella decorazione di un fregio (perduto) nella sala grande del palazzo Orsini di Monte Giordano a Roma, appena comprato dal cardinale, che, divenuto governatore di Tivoli, il 9 sett. 1550 vi fece il suo ingresso trionfale accompagnato dal Ligorio.
La modesta sede del governatorato di Tivoli occupava allora un’ala del medievale convento francescano, annesso alla chiesa di S. Francesco, poi denominata S. Maria Maggiore. Dovette essere dalla fine del 1550 – anno in cui stava trasformando grazie all’aiuto del L. la vigna Carafa al Quirinale, appena presa in affitto, in un magnifico giardino, ricco di statue antiche – che il cardinale Ippolito decise di creare a Tivoli un giardino ancora più imponente. All’inizio gli sforzi del L. in quest’ultima impresa furono sostanzialmente volti all’acquisto di terreni nella valle sotto il monastero e alle esplorazioni dei siti archeologici circostanti. Il nome del L. compare nei libri contabili del cardinale fino al 1555, quando quest’ultimo, caduto in disgrazia con l’elezione del nuovo papa, Paolo IV, dovette abbandonare Roma. Soltanto con la salita al soglio pontificio di Pio IV il cardinale Ippolito venne riabilitato e a partire dal 1560 ebbe inizio la costruzione della villa.
Il 23 nov. 1549, durante l’interregno dopo la morte di Paolo III, per intercessione del cardinale R. Pio di Carpi (Volpi, 1995-96, p. 10), il L. fu nominato sovrintendente per la fontana di S. Pietro e per la fonte di Belvedere e intorno al 1550 potrebbe aver ricevuto il suo primo incarico come architetto, il progetto per il palazzo Torres-Lancellotti a piazza Navona, la cui pianta irregolare si articola intorno a due cortili.
A partire dal sesto decennio gli interessi antiquariali del L. si affermarono in maniera decisamente preponderante. Le tre piante di Roma antica realizzate fra il 1552 e il 1561, in particolare quelle del 1553 e del 1561, sono delle vere ricostruzioni archeologiche. Si basano, infatti, sulla tradizione scritta sul lavoro degli umanisti, ma anche sulla visione diretta delle rovine. Con pignola puntigliosità il L. mise a confronto fra loro le immagini di templi riportate sulle monete romane, combinando autonomamente i dati da esse ricavati con la localizzazione dei monumenti stessi (Winner, p. 19). Tra il 1550 e il 1560 lavorò all’opera Delle antichità di Roma, composta da 10 volumi manoscritti, conservati presso la Biblioteca nazionale di Napoli; solo il volume relativo agli anfiteatri venne pubblicato a Venezia, presso M. Tramezzino, nel 1553 (Libro… delle antichità di Roma nel quale si tratta de’ circi, teatri & anfiteatri). Una successiva stesura dell’opera, redatta in 30 volumi tra il 1566 e il 1583, si trova presso l’Archivio di Stato di Torino.
Si tratta di un’enciclopedia archeologica in cui vengono riportati monumenti antichi, epigrafi, vite di uomini illustri, monete. Winner (p. 19) la definisce “il primo esempio di enciclopedia illustrata dell’antico, opera di un singolo individuo del Cinquecento, paragonata spesso alle enciclopedie collettive del XIX e del XX secolo […]. L’eruditismo di Ligorio suscitava già l’ammirazione degli antiquari di formazione umanistica suoi contemporanei che consideravano il suo caso eccezionale proprio perché Ligorio non era un vero latinista erudito. La sua vigile facoltà di sintesi e la sua fantasia artistica gli permisero spesso di completare monumenti antichi frammentari, di inventarli e di provvederli poi dell’iscrizione adatta”. Scriveva di lui A. Agustin: “Pirro Ligorio Napoletano amico mio, grande antiquario, e pittore, il quale senza sapere la lingua Latina, ha scritto più di quaranta libri di medaglie, et di edificii, et d’altre cose” (Dialoghi intorno alle medaglie inscrittioni et altre antichità, Roma 1592, p. 117).
Probabilmente al servizio di papa Paolo IV già dal novembre 1557, nel gennaio dell’anno successivo compare nei libri contabili come architetto pontificio e in particolare l’11 genn. 1558 ricevette una provvisione mensile di 25 scudi d’oro. Mantenne l’incarico per tutto il pontificato di Pio IV, periodo al quale risalgono le sue realizzazioni architettoniche più importanti (Coffin, 2004). Attorno a questo periodo risalgono i disegni del L. per le Fabulae Centum (Roma 1563, presso Vincenzo Luchino) del suo amico Gabriele Faerno, per la maggior parte derivate da Esopo.
Da Paolo IV il L. era stato incaricato tra l’altro di realizzare alcuni finestroni del palazzo Vaticano che dovevano aumentare la luminosità della sala di Costantino, ma i sicuri danni che l’iniziativa avrebbe arrecato agli affreschi della sala spinsero il papa ad abbandonare il progetto. Paolo IV incaricò allora il L., architetto di palazzo, di realizzare un casino in Vaticano, che doveva essere visibile dalle finestre del suo appartamento, immerso nel verde, destinato ai suoi momenti di riposo. I lavori, citati per la prima volta il 30 apr. 1558, furono bruscamente interrotti alla fine dello stesso anno, per riprendere nel maggio del 1560, dopo l’ascesa al soglio pontificio di Pio IV.
Denominato “Casino del boschetto”, per via della sua posizione ritirata e scenografica all’interno dei giardini, prese poi il nome di villa Pia o casino di Pio IV. Fonte per l’architettura del casino, è stato sottolineato da Friedlaender, è Raffaello e in particolare il perduto palazzo Dell’Aquila, la cui facciata riccamente decorata è senz’altro un importante precedente della costruzione del Ligorio. Cronologicamente più vicini sono la facciata e il cortile di palazzo Spada sempre a Roma, la cui decorazione in stucco è opera di G. Mazzoni, uno degli artisti impegnati nella valutazione del casino che fu completato nell’autunno 1562. Mentre la loggia rimanda a quella di palazzo Massimo alle Colonne, opera di B. Peruzzi. La fabbrica è composta da due distinti edifici che occupano le estremità dell’asse maggiore di un piazzale ellittico cui si accede attraverso due portali ad arco. L’architettura del casino è riccamente decorata da rilievi in stucco e sculture.
Il L. fu inoltre molto impegnato, a partire dal 1560, in diversi lavori intrapresi all’interno del palazzo Vaticano, in particolare nella loggia della Cosmografia e nella sala dei Pontefici nell’appartamento Borgia. E soprattutto fu attivo nella completa risistemazione del monumentale cortile del Belvedere. Si occupò in particolare dell’edificazione dell’ala occidentale del cortile, proseguendo gli interventi di D. Bramante prima e B. Peruzzi poi, e realizzando un emiciclo teatrale a sud e il cosiddetto nicchione, che si ispira alla nicchia centrale dello stadio Palatino, a nord.
Sempre nel 1560 divenne cittadino romano.
Con l’elezione di Pio IV Ippolito d’Este fu riabilitato e riprese il governatorato di Tivoli. A partire dal 1560, pertanto ebbero inizio i lavori della villa che dapprima comportarono l’acquisto di altri terreni, la costruzione di un acquedotto per portare l’acqua dal Monte Sant’Angelo e la preparazione del terreno per la costruzione del fantasmagorico giardino, del quale il L. compilò una descrizione e ideò il programma iconografico, forse con l’aiuto dell’umanista francese cardinale M.-A. Muret (Coffin, 2004, p. 84).
L’ingresso principale venne posto alla base della collina in aggiunta al grande parco pubblico che si sviluppava salendo verso un giardino segreto in alto. Il programma iconografico associa, secondo Coffin, il giardino di Tivoli a quello delle Esperidi e alla scelta morale dell’eroe Ercole. Dalla fontana centrale del drago, ucciso da Ercole che sceglie la virtù, si dipanano poi le altre statue e fontane della villa. Ma soprattutto attraverso il mito di Ercole avviene la celebrazione della famiglia Este, ritenuta sua discendente, e di Tivoli, l’antica città dedicata all’eroe. Dall’aprile 1567 al 17 ag. 1568 sono registrati i lavori eseguiti nella villa, in particolare statue realizzate su disegno del Ligorio. La vocazione teatrale (Fagiolo – Madonna, 2003) si concentra in modo particolare sulle tre fontane di sicura ideazione ligoriana: l’Ovato, l’Organo e la “Rometta”, che doveva rappresentare in forma allegorica la Roma antica, con percorsi d’acqua, e in miniatura l’isola Tiberina e alcuni edifici cittadini. Il L. dovette avere anche un ruolo nella scelta degli artisti che dal 1565 al 1572 lavorarono alla decorazione delle stanze della villa. Nel periodo in cui il L. fu impegnato nel progetto dei giardini di Tivoli, utilizzò parte del suo tempo per esplorare la regione e per organizzare scavi che dovevano servire ad arricchire la collezione di antichità del cardinale. In particolare fu impegnato nell’ottobre 1567 negli scavi di villa Adriana, interessato non solo al reperimento di sculture antiche, ma anche allo studio della villa, di cui stava preparando una dettagliata descrizione, che si trova nel libro XXII del manoscritto di Torino (Coffin, 2004, p. 105).
Tra il 1561 e il 1564 il L. lavorò probabilmente alla palazzina di Pio IV sulla via Flaminia trasformando il prospetto della fontana dell’Acqua Vergine costruita per Giulio III. Intorno al 1564 il L. doveva lavorare anche alla facciata del transetto nord in S. Giovanni in Laterano, e, per volere del papa, probabilmente a seguito della morte di G. Guidetti, nello stesso anno, fu incaricato di prendere parte alla costruzione del nuovo palazzo della Sapienza. Il L. progettò il nuovo cortile del palazzo, ma un decreto del 18 sett. 1565 ne stabilì l’interruzione per mancanza di fondi.
Intanto nel luglio 1564, a cinque mesi dalla morte di Michelangelo, il L. gli succedette nella prestigiosa carica di architetto della Fabbrica di S. Pietro, il Vignola (J. Barozzi) fu eletto secondo architetto.
Non erano mai stati buoni i rapporti tra Michelangelo e il L. che si era permesso di insultarlo in pubblico, cosa di cui Michelangelo ebbe a lamentarsi con Vasari (G. Vasari, Le lettere di Michelangelo Buonarroti, Firenze 1875, p. 534 n. CDLXXIII) il quale infatti, pur citandolo qua e là nelle sue Vite, lo escluse da una trattazione specifica. D’altro canto V. Borghini in una lettera al suo amico Vasari del 19 ag. 1564 criticava il L. accusandolo di dedicarsi molto alle discussioni e poco alla pratica, nella quale non era abile (Coffin, 2004, p. 68).
Non è chiaro quale fu l’apporto del L. alla Fabbrica di S. Pietro. Vasari (Le vite… [1568], a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, p. 266) sostiene che venne allontanato dall’incarico poco prima del 1° marzo 1567, dopo aver commesso numerosi errori (Coffin, 2004, p. 69). Il L. dovette completare buona parte del braccio nord del transetto, continuare l’impostazione della cupola e probabilmente lavorare alla cappella di nordest, nota come cappella gregoriana.
Alla fine di luglio del 1565 il L. fu imprigionato a Tor di Nona per 22 giorni con l’accusa di aver frodato la Camera apostolica: calunnie di Guglielmo Della Porta (Coffin, 2004, p. 71), come sottolineava lo stesso L. in una lettera al cardinale Farnese del 4 sett. 1565.
In qualità di architetto del palazzo Vaticano, non appena uscito di prigione, il L. dovette misurarsi con un difficile problema strutturale: la cappella Sistina stava correndo il serio rischio di crollare, come rivelavano le crepe sulla parete verso il cortile del Belvedere; pertanto il papa si era trasferito nell’appartamento di Paolo IV, ritenendolo più sicuro rispetto alla torre Borgia, dove era solito risiedere, perché troppo vicina alla cappella Sistina. I pagamenti per riparare la cappella iniziarono nell’ottobre 1565 e proseguirono fino all’agosto 1568, quando il L. non era più alle dipendenze del pontefice.
Alla morte di Pio IV, nel dicembre 1565, il L. rimase al servizio della corte papale ancora per poco tempo. Con l’aiuto di S. Peruzzi realizzò i quattro archi in legno decorati da sei Virtù per la cerimonia della proclamazione di Pio V. Il resto dei pagamenti sono relativi a incarichi ricevuti in precedenza, a eccezione della commissione di progettare la tomba di Paolo IV in S. Maria sopra Minerva. Si trattò naturalmente di una commissione importante.
La realizzazione della tomba nella cappella Carafa comportò la distruzione dell’affresco di Filippino Lippi con il Trionfo delle Virtù sui Vizi. Il contratto fu firmato il 9 apr. 1566, con la specifica che la statua del papa doveva essere scolpita da G. Cassignola e le due figure della Fede e della Carità dovevano essere di mano di T. Della Porta, su disegno del Ligorio. Il 2 ottobre il corpo del pontefice veniva lì traslato e il 20 marzo 1567 Cassignola veniva pagato per la statua del papa. Nel pagamento si parlava anche di due statue della Fede e della Religione (e non più della Carità). Dal contratto si evince che tutta la tomba, a eccezione della statua del papa, fu realizzata su disegno del L. (Coffin, 2004, p. 75). Per l’effetto policromo determinato dall’uso di marmi diversi, verde antico, pietrasanta e broccatello, la tomba, anticipatrice del gusto barocco, raggiunge una grandiosità che la fece apprezzare anche da Vasari il quale, senza fare il nome del L., la definì “maravigliosa” (Vite, VII, p. 551).
Tra il 1566 e il 1569 venne costruito il nuovo palazzo dell’Inquisizione (poi del S. Uffizio) su disegno del L. e di S. Peruzzi. Già a capo dell’Inquisizione ai tempi del pontificato di Paolo IV, Pio V aveva molto a cuore il progetto per cui il L. venne incaricato nel luglio 1566. Vari documenti attestano che il papa avrebbe voluto che il palazzo fosse pronto per Natale di quell’anno, ma il palazzo fu completato soltanto nel 1569.
La fortuna del L. stava ormai tramontando. Il papa, che non voleva vivere fra “idoli pagani”, non apprezzò il casino vaticano che fece spogliare di parte della decorazione scultorea antica, e così fece rimuovere le sculture antiche raccolte dal L. nel cortile di Belvedere.
Il 17 genn. 1567 Fulvio Orsini informava il vescovo Antonio Agustin che le trattative, già in piedi dall’ottobre 1566, erano andate a buon fine e il L. aveva venduto la propria collezione di medaglie antiche e la prima stesura del manoscritto Le antichità di Roma al cardinale Alessandro Farnese. A partire dal giugno 1567 risulta architetto dei palazzi vaticani Nanni di Baccio Bigio (G. Lippi).
La fine degli importanti incarichi romani spinse perciò il L. ad accettare l’invito di Alfonso II d’Este che, tutto occupato nel tentativo di ridare a Ferrara un prestigio culturale pari a quello avuto nel XV secolo, si circondò dapprima di letterati e storici di primo piano come T. Tasso, B. Guarini, G.B. Pigna e G. Sardi, e poi ebbe bisogno di un antiquario, per sostituire E. Vico morto nel 1567, il quale aveva creato la collezione estense di medaglie e monete. Così accolse di buon grado la raccomandazione che il 10 apr. 1568 l’inviato ferrarese a Roma, A. de’ Grandi, gli faceva a proposito del L., dicendolo esperto “non nella professione sola delle medaglie, ma de’ disegni, nelle fortificazioni” (Winner, pp. 21 s.). Il 1º dic. 1568 il L. entrò al servizio di Alfonso II d’Este e da allora ricevette 25 scudi d’oro al mese. Tuttavia è possibile che non si trasferisse fino al 1569. Arrivato a Ferrara come archeologo e antiquario, si dedicò dapprima a organizzare gli intrattenimenti per la visita in città dell’arciduca Carlo d’Austria fratello di Barbara duchessa di Ferrara. Il L. dovette partecipare all’organizzazione della naumachia approntata per l’occasione il 25 maggio, disegnando i costumi, le armature, una macchina da combattimento, in forma di carro allegorico (disegno presso l’Archivio di Stato di Modena: Coffin, 2004, fig. 99, p. 108). Durante il primo anno fu poi occupato come lettore presso l’Università di Ferrara, istituzione che il duca stava cercando di rivitalizzare. Il successivo impegno del L. in città fu però legato alla ricostruzione di una parte del Castello estense, gravemente danneggiato dal terremoto del 16 nov. 1570. Dal novembre 1570 fino al 19 genn. 1571 il L. tenne un diario, che si conserva presso l’Archivio di Stato di Torino (cfr. ibid., p. 111), in cui, trattando le conseguenze del terremoto, elaborò un metodo per costruire abitazioni antisismiche, prevedendo, agli angoli delle stanze, pilastri di rinforzo che diventano elementi architettonici. Si trattava del primo progetto di questo tipo nell’architettura occidentale, nel quale il L. spiegava tra l’altro l’importanza dell’uso dei muri pieni, metodo costruttivo già utilizzato nella tradizione ferrarese.
Tra gli interventi al Castello estense si ricordano, in particolare, il progetto della biblioteca e di un antiquarium o museo per contenere le collezioni ducali, che comprendevano manoscritti e le monete e medaglie raccolte da E. Vico.
Nel 1571 varie lettere di A. de’ Grandi attestano la richiesta da parte del L. di 18 busti antichi di filosofi o letterati che servivano per decorare la biblioteca; 14 sarebbero arrivati entro la fine di agosto del 1571 (Coffin, 2004, p. 112). Contemporaneamente il L. organizzava il museo di antichità. Sia la biblioteca, sia il museo dovevano essere già terminati nel novembre 1574, come attesta il resoconto del segretario del principe di Cleves, che a quella data visitò Ferrara, descrivendo questi ambienti ricchi di statue in marmo, figurine in marmo e in bronzo, monete d’oro, d’argento e di bronzo (Coffin, 2004, pp. 114 s.).
Il L., seppure ben inserito nella corte ferrarese, tra Tasso, lo storico Sardi, il botanico A. Panza, tuttavia non doveva essere completamente soddisfatto del suo ruolo alla corte di Alfonso II se, alla morte del Vignola, nel 1573, tentò inutilmente di tornare a Roma, per riprendere i lavori che l’altro aveva lasciato incompiuti: il palazzo Farnese a Caprarola e la Fabbrica di S. Pietro. Rimasto dunque a Ferrara il L. fu incaricato da A. Mosti di realizzare il progetto generale della tomba di L. Ariosto per la chiesa di S. Benedetto, come era già avvenuto nella cappella Carafa, mentre il busto del poeta fu realizzato da P. Clemente. La tomba non esiste più, sostituita nel 1612 da quella più sontuosa di G.B. Aleotti (oggi nella Biblioteca comunale Ariostea).
Nel 1574 il L. fu incaricato di preparare archi trionfali effimeri per l’entrata di Enrico III di Francia a Ferrara e il 27 febbr. 1579 i 15 archi trionfali per l’arrivo di Margherita Gonzaga che andava in sposa al duca di Ferrara. Il periodo ferrarese fu molto fervido: il L. tra l’altro realizzò una genealogia degli Este, in circa 44 disegni, sparsi tra vari musei e collezioni private, che raffigurano a due a due i membri della famiglia, opera che doveva servire per la decorazione di uno dei cortili del castello compiuta dai fratelli Bartolomeo e Girolamo Faccini nel 1577 (Coffin, 2004, p. 127). Sempre per il castello il L. realizzò i disegni preliminari per le volte della sala dell’Aurora, della sala dei Giochi (entrambi nell’Archivio di Stato di Modena) e della saletta dei Giochi.
Per i meriti acquisiti grazie ai lavori svolti per la corte estense nel 1580 gli fu conferita la cittadinanza onoraria ferrarese. Morì a Ferrara il 26 febbr. 1583 e il 30 ottobre fu sepolto nella locale chiesa dell’ospedale di S. Anna (Coffin, 1984, p. 135). Alla sua morte lasciò la moglie Barbara, probabilmente sua seconda consorte, varie figlie, tra cui Ersilia, benedettina presso l’abbazia di S. Antonio a Ferrara e Lucrezia, che fu per molti anni al servizio di donna Costanza de Mattei a Roma, e i figli maschi Achille, Paolo, Ercole e Cesare Gabriele, nato a Ferrara nel 1579.
In un passo autobiografico scoperto da Coffin il L. dice di aver usato il disegno “non per farme nell’arte della pittura profettevole, ma per possere esprimere le cose antiche, o d’edificij in prospettiva et in profilo” (Winner, p. 22). Attualmente sono stati individuati 253 disegni figurativi e ornamentali ascritti al L. sostanzialmente frutto di tre diversi periodi: il primo precedente il suo arrivo a Roma fino all’attività per la corte papale, tra cui la Danza di Salomè; il secondo successivo al 1557 fino al suo trasferimento a Ferrara nel 1569, tra cui alcuni dei disegni preparatori per la decorazione del casino di Pio IV; e poi il periodo ferrarese, a cui risalgono il manoscritto con la Storia di Ippolito, della Pierpont Morgan Library di New York, dedicato a Ippolito d’Este, e alcuni disegni per decorazioni di soffitti, nell’Archivio di Stato di Modena (Coffin, 2004, p. 149, con un elenco completo).
FontieBibl.: G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori… (1649), Velletri 1924, pp. 9-11; W. Friedlaender, Das Kasino Pius des Vierten, Leipzig 1912; G. Ceci, in U. Thieme – F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, Leipzig 1929, pp. 219 s.; P. Tomei, Gli architetti del palazzo della Sapienza, in Palladio, V (1941), pp. 270-282; J.S. Ackerman, The cortile del Belvedere, Città del Vaticano 1954, ad ind.; E. Mandowsky – C. Mitchell, P. L.’s Roman antiquities, London 1963; S. Freedberg, Painting in Italy: 1500-1600, London 1971, ad indicem; M. Fagiolo – M.L. Madonna, La casina di Pio IV in Vaticano. P. L. e l’architettura come geroglifico, in Storia dell’arte, 1972, nn. 15-16, pp. 237-281; R. De Maio, Michelangelo e la Controriforma, Bari 1981, ad indicem; J.S. Weisz, Pittura e misericordia. The Oratory of S. Giovanni Decollato in Rome, diss., University Microfilms Intern., Ann Arbor, MI, 1984, pp. 47-50; P. L. artist and antiquarian, a cura di R.W. Gaston, Milano 1988; P. L. e le erme tiburtine, a cura di B. Palma Venetucci, Roma 1992; Il palazzo apostolico Vaticano, a cura di C. Pietrangeli, Firenze 1992, ad indicem; Il libro dei disegni di P. L. all’Archivio di Stato di Torino, a cura di C. Volpi, Roma 1994 (in partic.: M. Winner, P. L. disegnatore, pp. 19-29); C. Volpi, P. L. e i giardini a Roma nella seconda metà del Cinquecento, Università degli studi di Roma La Sapienza, facoltà di lettere, a.a. 1995-96; D.R. Coffin, in The Dictionary of art, XIX, London-New York 1996, s.v.; F. Rausa, P. L.: tombe e mausolei dei Romani, Roma 1997; P. L. e le erme di Roma, a cura di B. Palma Venetucci, Roma 1998; M. Losito, P. L. e il casino di Paolo IV in Vaticano…, Roma 2000; A. Ranaldi, P. L. e l’interpretazione delle ville antiche, Roma 2001; I. Barisi – M. Fagiolo – M.L. Madonna, Villa d’Este, Roma 2003; D.R. Coffin, P. L.: the Renaissance artist, architect, and antiquarian (con ulteriore bibl. ed elenco dei disegni), University Park, PA, 2004; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, III, pp. 390 s.